[La scena รจ buia. Leggiamo, appena, delle lunghe strisce di stoffa bianca, disordinate, per terra. Si sente una musica epica, gigantesca, come se si stesse per accogliere un esercito alla fine di una battaglia chiusa con una vittoria sofferta ma schiacciante, definitiva, ineluttabile. In un momento di forte crescendo, entra in scena A., vestito di stracci, scalzo, bendato sugli occhi, che con una corsa irregolare, di unโirregolaritร data dalla mancanza della vista, raggiunge il centro del palcoscenico. Luci basse, che andranno crescendo, ombre che andranno sparendo. A. ansimante, comincia.]
sento respiro tocco sputo
sento
il rumore dellโaria tagliata dalle frecce
ogni elmo e ogni scudo accoglierne le punte
le urla dei compagni colpiti e fatti niente
soldati indiavolati con sorrisi senza denti,
sento
gli ordini del generale che ci grida โstate strettiโ
come un corpo, uno,
che prende la sua vita, la sola che ha,
e se serve perde la sua vita, la sola che ha;
respiro
lโaria fetida dei fiati sfatti
il sudore dei corpi malati di rabbia,
respiro
il dolore che scorre a fiotti sui colli,
sui costati, sulle facce, sulle fronti,
sui monti;
tocco
la terra che bolle infuocata dal sole
nellโagosto piรน caldo di sempre
con i palmi delle mani lacerati stanchi,
tocco
il freddo delle spade, il peso delle lance,
le dita di chi รจ accanto e non parla piรน;
sputo
suoni che non so di saper fare,
sangue che non so come bloccare,
gocce che non so come ingoiare
e solamente per buttarle giรน
sputo.
sento respiro tocco sputo
torno
da solo a casa, lโunico tra tutti,
disertore traditore vigliacco
senza decoro dignitร coraggio
schernito dai bambini, cacciato dalla moglie,
torno per dirvi,
per tre albe e tre tramonti
cosa ho visto
prima che, tra dardi e polvere
alleati e nemici, attacchi e difese,
mi lasciassero,
vivo,
gli occhi.
Queste le prime battute di Quando venne buio (racconto dalle Termopili), spettacolo teatrale scritto e diretto da Giovanni Arezzo, interpretato da Stefano Panzeri e musicato dal vivo da Michele Piccione, andato in scena in prima nazionale lโ11 luglio al Teatro di Paglia di Tindari (ME) in occasione del 67ยฐ Tindari Festival.
Ma ecco una premessa: la critica, sia chiaro, ossia la critica che si confร ai critici ‘di mestiere’, per promuovere o stroncare, come si suol dire, ebbene quella non รจ cosa mia, e anche se lo fosse, poco m’importa (ma questo qui lo dico e qui lo nego, qualora mi servisse per campare). Invece il testo critico, il testo che muove da qui, dallโopera, a lรฌ, ad altre opere e riflessioni, questo mi รจ assai gradito. E infatti di questo si tratta, se vโinteressa.
Dunque: A. sta per Aristodemo, uno dei Trecento soldati spartani condotti da Leonida ad arrestare, o piรน correttamente a rallentare lโesercito di Serse I, figlio del Gran Re Dario I di Persia e โsovrano degli uominiโ, allโimbocco delle Termopili, stretto passaggio tra la Locride e la Tessaglia dove ci passa a stento uno sputo. Lโunico a far ritorno a Sparta, ignobilmente, poichรฉ vivo. ร cieco, Aristodemo, ferito il terzo giorno di battaglia al pari del suo compagno Eurito, e insieme sollevati dal loro incarico da Leonida in persona. Ma i due, inseparabili, infine si separeranno: Eurito tornerร in battaglia; Aristodemo deciderร di tornare a casa, pur consapevole dellโignominia fitta e pesante che lo ammanterร da capo a piedi, vita natural durante.
Quando venne buio รจ tutto nella crepa sottile ma profondissima della scelta tra lโonore e lโamore, la morte e la vita, dunque delle conseguenze. A fare da scenario e contesto, i tre giorni del conflitto. Datata 480 a.C., la Battaglia delle Termopili โ parallela alla Battaglia dellโArtemisio, lโuna lungo la costa, lโaltra in mare aperto, ma entrambe indissolubilmente legate, giacchรฉ lโesito di ciascuno dei due fronti avrebbe condizionato lโaltro โ รจ argomento che oramai, leggendario comโรจ, quasi rifugge le presentazioni. Lo stesso dicasi per le gesta e la sorte dei Trecento spartiati. Poco importa che fossero accompagnati da qualche migliaio di unitร (tra perieci, iloti a fare da scudieri e attendenti, e circa settecento Tespiesi): trecento รจ cifra tonda, buona a rappresentare la minuzia in confronto ai numeri dellโinvasore, e nel contempo a valorizzare quelle stesse gesta e quella stessa sorte. Dโaltro canto, dellโesercito di Serse, delle cifre e dei popoli che lo costituivano, si sprecano gli aggettivi di magnificenza e terrore.
[…] spaventoso, cosรฌ enorme da fare paura, da chiedersi se fosse possibile che esistesse, nel mondo, un esercito cosรฌ o se tutto il mondo facesse parte di quellโesercito […]
La battaglia: un passo al di qua o al di lร del mito, ed eccoci avvolti dalla nebbia del tempo. Le date incerte, dubbia la successione degli eventi. La ricostruzione ipotetica. I punti cardine sempre gli stessi: lโarrivo alle Termopili, la negoziazione, la tregua apparente, il primo scontro e la prima sconfitta di Serse, gli Immortali e la seconda sconfitta di Serse, il tradimento a opera del pastore greco Efialte (colpevole di aver informato Serse del sentiero dellโAnopea situato lungo la pendice del monte Eta, buono ad aggirare lโeroica compagine avversaria), quindi la disfatta dei Trecento, caduti uno a uno, Leonida tra i primi; salvo, per lโappunto, Aristodemo.
Ancora oggi ci affidiamo a Erodoto, Le Storie, Libro VII (Polimnia), tutto incentrato sulla spedizione persiana contro Atene e lโintera Grecia โ qui descritta nei minimi particolari in una congerie di dati, notizie, perfino curiositร , โaffinchรฉโ, come egli stesso annunciava sin dal proemio, โle gesta degli uomini con lโandar del tempo non vengano dimenticate, e le imprese grandi e meravigliose, sia degli Elleni sia dei Barbari, non perdano la loro famaโ โ e che non tace neppure i numerosi e invero poco onorevoli dissidi da cui Spartani e Ateniesi furono lacerati, i quali fruttarono โ diciamolo pure senza mezzi termini โ lโinutile disastro delle Termopili (episodio che la tradizione, comโรจ noto, circonfuse di unโaura eroica). Questo e i libri di storia curati da autorevoli studiosi sapranno illuminarvi laddove รจ possibile far luce, schiarendo appena ciรฒ che si puรฒ soltanto supporre e tacendo il resto su cui non รจ possibile pronunciarsi.
Ma lโarteโฆ lโarte puรฒ colmare ogni anfratto delle storie, dar corpo e colore allโignoto, restituire la voce allโuomo del quale si sa soltanto che fece ritorno a Sparta, perchรฉ ferito, per paura, per amore.

***
Quando venne buio (racconto dalle Termopili) nasce da unโintuizione di Costanza Amodeo, direttrice artistica del Teatro LโIdea di Sambuca di Sicilia (AG), quindi proposto a Stefano Panzeri e Michele Piccione con lโidea di realizzare uno spettacolo teatrale in forma di monologo sonorizzato dal vivo che, forse per la prima volta in teatro, raccontasse la Battaglia delle Termopili. Scritto dopo mesi di studi e ricerche, e dapprima sviluppato tramite un assiduo confronto a distanza tra Arezzo, Panzeri e Piccione, lo spettacolo prende finalmente forma nel corso di una residenza artistica di dieci giorni.
Arezzo: ยซLeggo il leggibile (il che pare esagerato, se per il leggibile si intende tutto il leggibile, ma leggo molte cose, ecco, che trovo sullโargomento), ascolto podcast, guardo video di professori e storici che raccontano delle Termopili. Mi imbatto in Erodoto, naturalmente, e il VII libro delle sue Storie diventa la mia fonte principale. Ma sto scrivendo per il teatro, e quindi mi serve un personaggio che la racconti, questa storia, una prospettiva, una voce, un punto di vista, mi serve un conflitto, un conflitto vero, profondo, interiore, ancora piรน grande, se si vuole, di quello sanguinario tra lโesercito dellโinvincibile Serse e del Re Leonida. Leggo di un soldato spartano che, unico tra i trecento guidati da Leonida, sopravvive alla battaglia delle Termopili, perchรฉ una ferita di guerra lo rende quasi cieco e, in tali condizioni, sceglie di abbandonare il campo di battaglia, pur sapendo che dalla guerra uno spartano torna o con lo scudo o sullo scudo, vincitore o morto. Quale miglior conflitto di questo, per me? Chi puรฒ essere piรน in conflitto di uno spartano che abbandona i suoi compagni e lascia la battaglia, sapendo ciรฒ che lo attenderร ?ยป.


Lo spettacolo fonda la sua incrollabile tenuta sul talento performativo e interpretativo di Stefano Panzeri e sulle musiche di Michele Piccione, e certamente sulla scrittura, ispiratissima, di Arezzo. Non ha bisogno dโaltro: la scenografia รจ limitata a una moltitudine di stoffe sparse per terra; luci e buio caratterizzano i momenti chiave, nel continuo alternarsi del racconto della battaglia e della preghiera di Aristodemo di poter essere riaccolto in casa. In mezzo, nel bel mezzo della performance e della musica e delle luci, corre una tensione rara capace di diramarsi ovunque e fino in fondo. La si puรฒ sentire nel petto, nello stomaco, e nel punto che sta tra il petto e lo stomaco cresce e affonda. ร il plesso solare, luogo in cui si dice possa risiedere lโanima. Ma le braccia e le gambe, i piedi e le mani e tutto il resto quasi non si spostano di un millimetro che sia uno. Stanno in attesa, mentre gli occhi che vedono un uomo slegarsi la benda, gettarla, raccoglierla, di nuovo riavvolgerla al polso o intorno alla fronte, di nuovo srotolarla e cosรฌ via, vedono anche molte cose assieme, immaginarie, e quello stesso uomo interpretare piรน di un uomo, Aristodemo, Serse, Leonida, Eurito, Efialte, e altri ancora; e le orecchie, che sentono i respiri e le grida con pari intensitร , restano assoggettate ai cambi di tono e di registro, alle voci che sono sรฌ una voce soltanto, ma mutevole, senza bisogno di modificare alcunchรฉ che non sia la flessione, dettare e insieme seguire la postura del corpo nel modo e nel breve spazio che vi si addicono, sempre trovandosi in perfetta sincronia con il suono. Suono che รจ musica in tempo reale eppure dโaltri tempi, sulla quale vale la pena soffermarsi.
Michele Piccione, polistrumentista, esperto di etnomusicologia e antropologia culturale, ha scelto con cura ciascuno degli strumenti cui assegnare un peso specifico in grado di caratterizzare e cosรฌ richiamare il contesto storico e ambientale nel complesso: il saz, tricordo di origine persiana, oggi utilizzato in diverse zone dallโIran alla penisola anatolica, e la nostra chitarra battente, tipica dellโItalia meridionale (e questa, dato il contesto, pare una scelta splendida); dunque i legni: lo zamar, clarinetto ad ancia singola libera, di origine beduina; il duduk armeno, oboe popolare dal suono caldo e ovattato, erede dellโaulos ad ancia doppia tipico della Tracia; lo chalumeau, predecessore del moderno clarinetto. A questi si aggiungono vari tipi di marranzano provenienti da diverse parti del mondo, e le percussioni, tamburi a cornice quali bendir e tammorra (questa di origini antichissime, tipica della tradizione campana, da cui la tarantella napoletana altresรฌ nota come โtamurriataโ). Infine, la componente elettronica: sequenze orchestrali ed effetti sonori costruiti e assemblati per lโoccasione.

Per nulla semplice da rievocare, data la scarsitร di fonti a riguardo, la musica del tempo โ nella fattispecie della cultura lacedemone โ risultava funzionale alla coesione e alla strutturazione della societร , contribuendo a nutrire il senso di appartenenza e a mantenere desto lโagone tra le componenti della cittadinanza. Risultava quindi determinante la dimensione collettiva espressa dalla mousikรจ, legata al piano religioso, iniziatico, e a quello fortemente ritualizzato della battaglia. Un simile uso dipendeva dalla pregnanza della connessione tra la tradizione lacedemone e la dottrina dellโethos dei suoni sviluppata in seno al pitagorismo, poi rielaborata a cominciare dalla scuola platonico-aristotelica, giacchรฉ proprio lโarte della riproduzione di suoni e canti era ritenuta piรน di altre capace di imitare e rappresentare le qualitร morali e le disposizioni dellโanimo, dunque di poterle condizionare, eccitare, riequilibrare.
Strumento bellico per eccellenza, a Sparta l’aulos era utilizzato allo scopo di cadenzare la marcia della falange oplitica. Lโaccostamento degli auleti militari con i capi dellโesercito, gli indovini e i medici, ne lascia intendere lโimportanza. Senofonte precisa che nelle campagne militari erano ฯฯฯฮบฮทฮฝฮฟฮน del re, compagni di tenda e di mensa, a comprovare la perfetta adesione al modello del cittadino-soldato. Lโuso dellโaulos per scandire la marcia delle truppe รจ descritto in un noto passo tucidideo, che contrappone il passo cadenzato e lento degli Spartiati, disposti con ordine e guidati dal suono degli auli, a quello disordinato dei nemici nella battaglia di Mantinea (Tucidide, 5, 70). Ma i dati iconografici e archeologici (seppur pochi e ampiamente lacunosi), affiancati alle fonti letterarie, delineano un orizzonte organologico piรน sfaccettato rispetto al solo utilizzo dellโaulos a scopo militare. Scopriamo cosรฌ altri oggetti sonori nella polis di Sparta, subordinati allโaulos poichรฉ legati al piano culturale e perciรฒ soggetti a limitazioni e censure, quali la kithara (meglio conosciuta come cetra), cimbali vari, la lira, la salpnix.
Insomma, sebbene la concezione musicale fosse nettamente bipartita tra lโutilizzo militare e quello ad esso subordinato del piano culturale, quindi legata alle esigenze di una societร attenta a preservare le proprie regole e tradizioni, era certo musicalmente piรน articolata di quanto raccontino le sole fonti letterarie.
Ecco che, per ritornare alle partiture di Piccione, la varietร dellโorganico strumentale (capace di articolare sonoritร e dunque culture differenti, ma imparentate) e la tipologia di scrittura, finemente strutturata, risultano efficaci nel rievocare il senso della battaglia, esplorandolo e riadattandolo, e nel contempo riuscendo a distanziarlo quando necessario, cosรฌ da restare sempre aderente al testo. Sempre.
E mentre il palcoscenico accoglie tutto ciรฒ, le musiche e la performance, come fosse uno spazio fuoriuscito dal tempo, un non-luogo parallelo/sovrapposto/intrecciato a questo, una singolaritร inqualificabile โ io ascolto e trepido, e mi domando da dove sia sbucato un simile spettacolo.

***
Nel luogo dove ho assistito a una delle prime repliche di Quando venne buio cโerano molte teste a oscurarmi frammenti di scena. Teste di tutte le etร e forme, capelli lisci, mossi, ricci; qui radi, lรฌ folti. Non mancava chi si lisciava le ciocca tra le dita e chi le dita le passava tra i capelli per rinvigorire la chioma (e qui ci sovvengono gli Spartani, che in procinto di battagliare erano soliti acconciarsi i capelli).
A distanza di due mesi, ho ancora ben in mente lo scenario. Lโattore a piedi nudi sul pavimento del cortile del Palazzo del Principe di Villadorata a Marzamemi; ad affiancarlo, il musicista accerchiato dai suoi strumenti, ben in vista, comโรจ giusto che sia in una simile rappresentazione. Cโรจ un albero, un fico, a fare da cornice; un portone sullo sfondo; due rampe di scale sulla destra (conducono a stanze del palazzo mai viste in vita mia, io che questo palazzo lโho visto con occhi di bambino, adolescente, ragazzo, uomo). (Vi dirรฒ: puรฒ darsi che questo sia uno spazio migliore di qualsiasi altro palcoscenico lasciato sgombro di proposito, o peggio, allestito per lโoccasione, giacchรฉ lโalbero, il portone, le rampe di scale e le mura tutte, giungono perfetti nellโimmaginare Aristodemo tornato a Sparta, ora dinanzi casa sua, fuori dalla porta invisibile al di qua della scena).
ร la sera di venerdรฌ 6 ottobre 2023. Il Marzamemi Book Fest โ da questโanno brillantemente diretto da Sabina Minardi, e organizzato in partnership con LโEspresso โ รจ giunto al secondo giorno di eventi. Nel pomeriggio, Cristina Cassar Scalia campeggiava su Piazza Regina Margherita, per un incontro che al calar del sole mi vedevo costretto ad abbandonare anzitempo (ma nessuno, lungo il tragitto che dalla piazza mi conduceva a casa, trecento metri o poco piรน, pare avermi accusato di imperdonabile disonore). Dunque ceno. Arrivo puntuale; prendo posto. Altre persone giungono a passo svelto, velocemente riempiono il cortile fino a occupare lโultimo posto disponibile. Bisogna aggiungere sedie, allungare le file. Ciononostante in molti, nelle retrovie, resteranno in piedi. Pazienza, ne varrร la pena, poichรฉ di lรฌ a poco arriverร un uomo che per unโora vedremo in piedi con il corpo intero immolato nella performance, si accascerร , si rialzerร , parlerร senza sosta (e le pause saranno anchโesse parole), urlerร , sussurrerร , piangerร , farร il buono e il cattivo tempo, la battaglia e la preghiera, e per tutto il tempo e dopo e ancora oggi mi chiedo come faccia un uomo soltanto a fare ed essere tutto ciรฒ (รจ un attore, si dirร , รจ il suo mestiere: lo so bene, certo che lo so, e ne ho visti di attori e attrici capaci di simili gesta, ma io โ a differenza di ciรฒ che non faccio ma che ritengo di poter fare, se soltanto lo volessi โ questo davvero non saprei come farlo, a ricordare tutto, a non perdere un colpo, e pur perdendolo, a fare in modo che nessuno se ne accorga; a non perdere la voce, nรฉ la vista per la stanchezza).
Ma di tutto ciรฒ, io, seduto a guardarmi intorno, a tamburellare il mio dito indice sul ginocchio, non posso avere idea. Non so cosa aspettarmi, ed รจ un bene, poichรฉ giร dallโoscurarsi della scena, dai sussurri di voci registrate che si diffondono, ho la sensazione che da questo spettacolo non dovrรฒ aspettarmi niente: zitto e muto, fermo ad ascoltare, a farmi venire la pelle dโoca, a sentire ogni parola come fosse la prima e lโultima.
***
Erodoto dedica tre paragrafi ad Aristodemo. Tiene a sottolineare, nello specifico, la scelta di far ritorno a Sparta in rapporto alla scelta di Eurito di tornare in battaglia. Scrive: โse Aristodemo fosse stato solo a soffrire dโocchi e per questa ragione fosse ritornato a Sparta, oppure avessero fatto ritorno tutti e due assieme, a mio parere, gli Spartani non avrebbero concepito alcun risentimento contro di loro. Ora, invece, che uno di essi aveva affrontato la morte, mentre lโaltro, pur trovandosi nelle stesse condizioni, non aveva voluto morire, per forza si sentirono gli Spartani gravemente sdegnati contro Aristodemoโ. Giovanni Arezzo li immagina fianco a fianco in battaglia:
Certi della nostra morte, mostravamo ai barbari tutta la nostra forza, con disprezzo della nostra vita, con rabbioso furore. Eurito e io stavamo spalla a spalla, come dormivamo le notti, come quando non cโรจ guerra, con i capi scoperti e gli elmi persi chissร dove, con i denti scheggiati, feriti dappertutto. A un certo punto Eurito mi urlรฒ in faccia qualcosa che non capรฌ, in mezzo alle schegge di tutte quelle spade incandescenti, e non ebbi il tempo nemmeno di guardarlo che ci ritrovammo a terra, uno accanto allโaltro, quando venne buio, per colpa di un profondo taglio sugli occhi.
Il dialogo che segue รจ cosa rara. Panzeri passa dallโuno allโaltro, da Aristodemo e Eurito, con tecnica esemplare (eccolo, ma che mi si creda sulla parola: quel โNemmeno ioโ reiterato, detto come lo dice Panzeri, sdoppiandosi a quel modo, bisogna ascoltarlo, e bisogna ascoltarlo dal vivo).
Aiuto, Eurito, aiuto non vedo piรน. / Nemmeno io. / Ma niente, niente. / Nemmeno io. / Qualche ombra, forse, ma non riconosco niente, niente. Tu? / Nemmeno io. / Ho un dolore, lancinante, agli occhi, alla faccia, alla testa, e non riesco a stare in piedi. Tu? / Nemmeno io. / Non servo piรน a niente, cosรฌ. / Nemmeno io. / Torno a casa, Eurito./ Io no. (una pausa) Perchรฉ no? / Non abbandono gli altri. / Ma sei cieco! / Lo so. / Perciรฒ? / Perciรฒ niente: io no! (una lunga pausa) Poi venne da noi Leonida, il Re, per dirci che in quelle condizioni non potevamo essere dโaiuto al resto delle truppe, di salvarci, quindi, di tornare a Sparta. (una pausa) Io vado, Eurito. / Io no. / Ma sei sicuro? / Sono sicuro, io, e tu sei sicuro? / Sรฌ, sono sicuro. / Lo sai cosa ti aspetta, lร fuori, se lasci i tuoi compagni? Su di te ricadrร , e pesante, lโira degli Spartani. / Sono cieco, Eurito! / Anche io. / Andiamo a Sparta, andiamo a casa, andiamo. / Io, no!
Questo รจ il punto: la scelta. Vivere o morire. Erodoto: โEurito, come venne a sapere della manovra di aggiramento dei Persiani, chiese le sue armi, e, indossatele, comandรฒ al suo ilota di condurlo lร dove si combatteva. Quando vi fu condotto, mentre quello che lโaccompagnava cercava la salvezza nella fuga, egli, gettandosi nella mischia, vi rimase uccisoโ. Ah, che morte eroica! Inutile, ma eroica. Ecco il patriottismo spartano, lโorgoglio, lโonore. Tutto ciรฒ di cui Aristodemo mancรฒ: โ[โฆ] ritornato a Sparta, non ebbe che vergogna e disonore, e il disprezzo da cui era cosรฌ colpito giungeva a questo punto: nessuno degli Spartiati accendeva a lui un fuoco, nessuno gli rivolgeva la parola e aveva egli sempre la vergogna di sentirsi chiamare โAristodemo il disertoreโ [โฆ]โ.
Disertore, fuggiasco, vigliacco.
Nessuno accendeva a lui un fuoco. Giacchรฉ a quel tempo non era facile procurarsi il fuoco, era sacra e antica consuetudine accendere un focherello in quanto simbolo di consorzio umano; esserne privato significava essere escluso dalla vita comune. Ma della moglie e dei figli, della moglie di Aristodemo e di lui che ritorna e la implora di poter rientrare, Erodoto non fa parola, nรฉ parla dโamore tra le ragioni del ritorno. Eppure รจ lecito supporlo, giacchรฉ egli stesso scrive che Leonida โse nโera venuto alle Termopili dopo aver scelto i suoi uomini tra il corpo stabilito dei Trecento e quelli che avevano dei figliโ. E li scelse proprio perchรฉ, una volta morti, avrebbero comunque lasciato in patria una discendenza, assicurando la conservazione delle famiglie della classe dominante. Lo stesso e a maggior ragione รจ facile supporre per il โcorpo sceltoโ dei Trecento.
Giovanni Arezzo ha quindi trovato terreno fertile proprio nel privato della storia di Aristodemo, nellโintimitร del rapporto con la moglie, e ponendo lei stessa al centro del meccanismo narrativo in cui da una parte si dร voce al racconto della battaglia, dallโaltra al proprio cuore, in un dialogo serrato a una voce sola (lei non risponde, nรฉ mai risponderร ) tramite il quale ricordare il passato, narrare il presente e sperare nel futuro.
[โฆ] Morire. Vincere, oppure morire. Oppure tornare, da te. E vincere! Mi arrivano chiari i tuoi respiri, mia amata, ho sviluppato un udito unico, negli ultimi tempi, non credo possa servirti continuare a far finta di non essere in casa. [โฆ] Ti vedo, ti vedo chiaramente. Ti vedo con le orecchie, con il naso, ti vedo con le mani se tocco la porta, ti vedo, chรฉ lโamore, quello vero, quello che so io, quello che provo io, quello che ho io, non ha mica bisogno degli occhi, ti vedo con il plesso solare, ti vedo con il cuore. Ti sento. Ti sento cosรฌ forte che fa paura anche a me, piรน delle frecce, piรน delle lance, piรน delle schegge, piรน dei tagli, piรน della polvere, piรน del fumo. Mi fa paura se ci sei ma non con me, perchรฉ mi crolla il mondo addosso, mi crolla addosso il senso, il senso di tutto. E cose crollarmi addosso ne ho viste, ne ho sentite, parecchie, svariate, ne ho sentite cosรฌ tante che adesso, perรฒ basta. Basta! (una pausa) Ti sento, amata mia, non serve a niente che ti muovi come fossi una ladra in azione in una casa abitata, ti sento, amata mia, non serve, non serve a niente che non parli, che non mi parli, sono tornato per te, per voi. (una pausa) E sento anche loro, sai? [โฆ]
Loro, un figlio e una figlia. Lui, quindici chili di bimbo, di giovane soldato pronto a tutto da che รจ nato, pronto a tutto per Sparta, la sua Sparta, la nostra Sparta, quei quindici chili di giovane Spartiata, che di esserlo ancora non sa. Giovane fortunato, che potrร ringraziare gli Dei per sempre, che รจ un orfano in meno per tutta la cittร . E lei, piรน piccola, che Aristodemo sente (immagina di sentire?) strisciare a gattoni per casa, quei fari neri curiosi chissร come si stanno muovendo alla ricerca del corpo che da corpo a questa voce, che sente, io lo so, lo so che la sente.


Lโalternarsi dei due piani narrativi produce quel tipico movimento emozionale di tensione e risoluzione cui รจ possibile associare lโalternarsi tra il dubbio e la certezza, la sorpresa e la conferma. Ma ciรฒ che colpisce in Quando venne buio รจ che proprio il racconto della battaglia โ tensivo quasi per definizione โ funziona in qualitร di risoluzione per mezzo della linearitร degli eventi, quindi del racconto delle forze in campo, delle dinamiche, dei dialoghi tra protagonisti e comparse. Di conseguenza, e paradossalmente, a produrre una tensione reale รจ invece il dialogo con la moglie, poichรฉ รจ qui che tutto viene rimescolato, che la storia e il mito appaiono risucchiati dallโoscuritร (e dalla luce, spersa ma ancora baluginante) di ciรฒ che avvenne nellโintimo di Aristodemo, nellโinterrogativo di ciรฒ che la moglie possa davvero fare e pensare, se cโรจ una moglie, se davvero sta ascoltando, e se sta ascoltando, di nuovo, cosa pensa e fa, cosa indossa, comโรจ fatta, se nel buio della casa (se una casa cโรจ ed รจ lรฌ) dorme o piange, o tiene una mano sulla bocca serrandola con lโaltra per non cedere e finalmente rispondere.
E noi spettatori e spettatrici, noi che osserviamo da questa nostra sponda buia, e che stiamo dove idealmente sta la moglie, allโinterno, al di qua dalla scena, dalla porta, siamo forse la parte della moglie che vorrebbe farlo entrare. E ci viene il sospetto che lei non apra per adesione al senso comune che vuole disonorato il disertore, posto al margine, ripudiato; vuol aprire, ma non puรฒ, e non puรฒ non perchรฉ gli altri, le altre donne, da quel giorno potrebbero vederla con occhio cattivo e giudicarla di conseguenza, bensรฌ perchรฉ quel senso comune รจ insito in lei, le scorre dentro, lโha cresciuta e formata a tal punto da rendere perfino impensabile il pensiero di cedere alla preghiera del marito, nonostante tutto, nonostante lโamore. Ma questa altro non รจ che una supposizione, per di piรน infondata. Del resto noi โ noi che per la maggior parte Aristodemo lo abbiamo โperdonatoโ giustificandolo fin dall’inizio โ, possiamo soltanto immaginare il modo con cui gli Spartani intendevano certi aspetti della vita coniugale. Questo perchรฉ in realtร i legami matrimoniali โ nella cittร -Stato di Sparta, โlodata da tutti e da nessuno imitataโ (Senofonte) โ erano relativamente deboli: la convivenza, il mettere su casa insieme, non avveniva prima della nascita dei figli, e a quel punto lโuomo era libero di tornare dalla madre nel caso in cui i rapporti con la moglie fossero tuttโaltro che buoni; dโaltro canto, nella maggior parte dei casi i figli venivano allevati non dalla madre, ma dai suoi parenti, precipuamente dallo zio materno. Il ruolo della moglie era quindi limitato alla sussistenza essenziale e non erano rari i casi di spose condivise o prestate. Ma attenzione: esse erano tuttโaltro che sottomesse. Le donne spartane non lavoravano, nรฉ partecipavano alla vita politica, ma godevano del privilegio di poter ereditare e possedere beni; erano inoltre note per le virtรน atletiche, ed altrettanto nota era la caratterizzazione atletica dei rituali spartani appannaggio proprio delle donne. Tutto ciรฒ in un contesto sociale e politico profondamente determinato dalle dinamiche della competizione maschile: dal successo di un uomo dipendeva infatti anche lโopportunitร di prendere o di dare in sposa una donna, e di conseguenza risultava determinante non soltanto la posizione dellโuomo, ma la sua capacitร di migliorarla e mantenerla tale. Per tornare ad Aristodemo, Senofonte scrive degli svantaggi patiti dal codardo in genere: disprezzato da tutti, egli doveva โtenere in casa le donne che gli appartengono e sopportare le loro accuse di viltร , vedere il suo cuore privo di una donna, e pagare un’ammenda anche per questo” (Costituzione degli Spartani, 9, 5). Ecco il motivo per cui proprio le donne spartane erano le prime a imporre al loro uomo il rispetto del codice del guerriero: โcol tuo scudo o sopra di essoโ.
Ma la donna di Aristodemo in Quando venne buio nega al suo uomo perfino lโinsulto, la parola; perfino la presenza. E per far sรฌ che il suo rifiuto risulti credibile alle orecchie ma soprattutto al cuore dello spettatore, รจ necessaria una lingua, una poesia, che giunga genuina, che parli a noi e che lo faccia nel nostro tempo, quindi โlavorataโ con cura, quale รจ quella di Giovanni Arezzo.
***
Se รจ vero, e lo รจ senza dubbio alcuno, che Erodoto โ cui si deve il passaggio dalla logografia alla storiografia per come la conosciamo, sia con riferimento al metodo dโindagine, sia per ciรฒ che attiene alle finalitร โ scrisse unโopera โviva, interessante come un racconto di favole dellโinfanzia e della giovinezza, giovinezza del mondo; profonda come i piรน profondi problemi che turbano l’umanitร ; nobile e grande come gli ideali per cui gli spiriti eletti sacrificano, senza un rimpianto, il dono celeste della vitaโ [Luigi Annibaletto], in una prosa colorita, talvolta spiritosa (il re spartano Aristone che, allโannuncio di essere divenuto padre, fa sulla punta delle dita il conto dei mesi e infine esclama: โNon puรฒ essere mio!โ), spesso aneddotica, sempre musicale, semplice e chiara pur nellโabbondanza discorsiva, scritta in quel dialetto ionico che fu la lingua non soltanto della precedente produzione logografica e della prosa scientifica, ma anche dellโepica, assumendo quindi nel complesso e a tutti gli effetti il ruolo che fu del cantore epico โ รจ altrettanto vero che nelle sue storie manca, per ovvie ragioni, una componente specificamente poetica. Risulta perciรฒ ancor piรน interessante il lavoro di scrittura di Giovanni Arezzo, che guarda a Erodoto, e nel contempo lo traspone dal piano prettamente storiografico a quello poetico, intervenendo nel modo che gli รจ piรน congeniale, quindi traendo spunto tanto dal teatro di narrazione, quanto dalla poesia contemporanea, dallo slam, dallo spoken word, e dal rap (Arezzo รจ anche attore e rapper con lo pseudonimo di Soulcรจ), innegabili esempi di tradizione orale nel mondo, capaci di trasformare, declinandoli al presente, gli esempi e gli insegnamenti degli aedi e dei cantori greci.
Non a caso, lโestratto Il Sogno da Quando venne buio โ inedito nel web e su carta e pubblicato da LโAppeso in data 3 dicembre โ รจ uno dei momenti piรน rappresentativi della scrittura di Arezzo. Leggetelo quanto prima, adesso, se preferite, ma ritornate per il finale.
***
Impegnato proprio in questi giorni nei panni di GesรนAldo nellโEcce Homo scritto e diretto da Antonio Ciravolo (con debutto il 17 dicembre al Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla), al termine della sua performance Giovanni Arezzo โguarda la platea come a voler trovare una soluzione ai mille affanni della sua nuova condizione umanaโ. Somiglia, per certi versi, e con le dovute differenze, al seguente passo di Quando venne buio.
Adesso sono conosciuto anche come Aristodemo il Fuggiasco, o Aristodemo il Vigliacco. Nel tragitto che, mezzo cieco, per ferite di guerra, ho percorso, per non so quanti giorni, e che mi ha portato dalle Termopili a Sparta, sono stato coperto di vergogna ed emarginato, da chiunque mi abbia riconosciuto, nessuno mi accendeva il fuoco, nessuno mi rivolgeva la parola. Tornato a Sparta ho trascorso tutta la notte, tutta la scorsa notte, davanti alla porta di casa mia, a parlare con mia moglie, che da dentro casa mi ascoltava, senza mai rispondermi, senza mai farmi entrare a casa, a casa mia. Perchรฉ? Perchรฉ dopo aver perso quasi totalmente la vista sul campo di battaglia, quando venne buio, ho scelto, con il permesso del mio Re, di tornare a casa, e di salvarmi la vita, chรฉ nulla di buono avrei potuto fare per il mio esercito e i miei compagni, in quelle condizioni, e molto di buono, invece, una volta guarito, avrei potuto fare per Sparta e per la Grecia. E per la mia famiglia. [โฆ]E tu, che avresti fatto? โ domanda Aristodemo, guardandoci negli occhi, uno ad uno โ Cosa avresti fatto, tu, al mio posto? Ho sbagliato io a pensare di salvarmi la vita? Sono stato egoista a pensare a mia moglie e ai miei figli? Mi sono macchiato di quale colpa? Tu? Saresti morto combattendo da cieco? E tu? Che cosa avresti fatto tu al mio posto? Nella mia situazione? E tu?
E tu?

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
ERODOTO, Le storie, traduzione, introduzione e note di Luigi Annibaletto, Mondadori, 1956.
BERLINZANI, FRANCESCA, La musica a Sparta in etร classica. Paideia e strumenti musicali, Aristhonothos – Rivista di studi sul Mediterraneo Antico, 2013.
FREDIANI, ANDREA, Le grandi battaglie dell’antica grecia, Newton & Compton, 2005.
MONACO, GIUSTO; CASERTANO, MARIO; NUZZO, GIANFRANCO, L’attivitร letteraria nell’antica Grecia. Storia della letteratura greca, Palumbo, 1997.
REDFIELD, JAMES, L’uomo e la vita domestica, traduzione di Andrea Bruno; da L’uomo greco, JEAN-PIERRE VERNANT (a cura di), Gius. Laterza & Figli, 1993.
TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, traduzione di Piero Sgroj, Newton & Compton, 1997.
Fotografie ยฉ Santi Codiglione, Marzamemi, 6 ottobre 2023.
Si ringraziano Sebastiano Diamante e il Marzamemi Book Fest per la disponibilitร .

Giuseppe Cappitta (Siracusa,1985). Diplomatosi in chitarra moderna a Firenze con un master in composizione per musica da film/teatro, in ambito letterario รจ autore di opere di narrativa e poesia, cui si aggiunge una miscellanea di testi a indirizzo critico, filosofico, memoriale. Suoi racconti, saggi e prose brevi sono apparsi in ยซBlogorilla Sapiensยป, ยซBomarscรฉยป, ยซMorel, voci dallโisolaยป, ยซSpaghetti Writersยป, ยซKairosยป, ยซL’Appesoยป. Vive a Marzamemi.
Giovanni Arezzo (Ragusa, 1985). Attore e regista, si รจ diplomato nel 2006 allโAccademia Nazionale dโArte Drammatica โSilvio DโAmicoโ di Roma. In teatro ha recitato diretto, tra gli altri, da Silvio Peroni, Francesco Saponaro, Guglielmo Ferro, Fabrizio Falco, Simone Luglio, Nicola Alberto Orofino; al cinema ha recitato in Hungry Birds, I Pionieri, La notte รจ un posto sicuro, Il Giudice e il Boss, e in TV ne Il commissario Montalbano, Apnea, Donne, RIS. Nel 2007 ha ricevuto una menzione speciale al Premio Hystrio “alla vocazione” per attori under 30. Come regista ha diretto: Natura morta in un fosso di Fausto Paravidino, Girasoli (di cui รจ co-autore) e Decadenze di Steven Berkoff, spettacolo vincitore del bando Catania Premia Catania del Teatro Stabile. ร autore di 3112, testo secondo classificato al Premio InediTO 2021, di 500L (2022), ed รจ co-autore della serie teatrale Tornati (a casa) per tempo, prodotta dal Teatro Stabile di Catania, con la quale nel 2022 vince il Premio Pirandello. Nel 2023 ha scritto e diretto il monologo teatrale Quando venne buio (racconto dalle Termopili).
ร anche rapper con lo pseudonimo di Soulcรจ, finalista nel 2014 del concorso per autori Genova X Voi, e nel 2019 del Campionato Nazionale della LIPS.
Vuoi sostenere L’Appeso?
