Fu nel mattino ancora macchiato da
stelle; eri, tu, trasparente. S’involava
perciò fra le colline il freddo;
si vedevano come attraverso vetri, oltre
cumuli di morti, i nostri esili agganci:
sotto all’erba si muoveva sfacciato un amore.
***
E la vita è strana e bella
che così facilmente
in un mattino
si vuol crepare in un momento.
***
Non c’è a Roma un rudere più rovinoso
della mia poesia.
È un naufragio. Neanche il
più santo dei poeti potrebbe salvarla.
Un dubbio cobalto. Una grande incertezza.
Il buio non lascia respirare
e la luce arsenico blocca ogni strada;
il vecchio sole odora di tempo e ammorbidisce
mentre la mia ombra cade, trattenuta dalle mosche.
Boccheggia l’ispido verso, tanta voce che non fa
che scomparire che s’accavalla imbarazzata.
Poi il mio cazzo si fa caldo fra le sue mani
– Tocca me, tocca me!
Il seme schizza;
il suo corpo si tende irrigidito.
La bocca si fa secca e le parole non escono.
– Vieni tra le mie mani, vieni!
Che bei capelli. Non ho più parole.
Come la folle prigionia di quella costruzione della
mente che limita l’essere nel dolore che fa paura
con miraggi con prestigi e sotterfugi
come soffoca il respiro l’odore del vecchio
come l’opprime e lascia che lambisca appena un suo sguardo
eccitante per scorgerne la morte: io ti amo.
Li guardo con passione in ogni loro riflesso –
i tuoi occhi. Li guardo dal confine, dall’unico loro cancello.
Ma a volte in questo desolante mutismo
che mi sconnette, emerge una chiara visione che combacia
con la mia morte. La mia innamorata è un verso,
alveo del mio corpo eroso.
Così, gioiosa, s’attesta trasparente immagine. E io son cieco.
La mia poesia è un naufragio.
Non c’è a Roma un rudere più rovinoso
della mia poesia.
***
Forse è proprio a letto che mi prende una malinconia
se la mattina d’un tratto divento
imbecille riprendendo a vivere
lasciando involare sogni vani
così delirando tra un capriccio e l’altro
mi par così brutta questa solitudine
così dileguando dalla morte che veglia su di me
m’infuoco di una sensibilità che è amore
e per amore soltanto io starei sotto un
po’ d’ombra al riparo dal cielo scottante a cercare il vuoto
e il nudo ché più mi convinco che per te parole non esistono
più mi succede di parlare.
***
Ah! succede che nasce nell’immediato confine
tra il primo coito e il primo canto d’uccello
o entro la linea isolata d’una gioia mutila e già
travolta dal traboccare della parola.
Nasce o dall’utero o da un chiaro momento
che sempre s’informa con un brivido all’aria:
tra l’intrico eccitato dei corpi e le scalze visioni di paesaggi
si apre una soglia di ego, schiumeggia il respiro,
e là tremante m’innamoro del suo indice
m’innamoro dell’atto creativo
m’innamoro di me.
***
Nelle mie mani affumicate suicide vedo il tuo volto tondeggiante
che s’illumina – essendo rivale al mio – e sento la frescura uscire
dalle tue labbra calde che hanno una propria luna: quella sfera
illumina il mio corpo e il mio desiderio ma non il mio volto.
Sai come sono: il mio volto è un posacenere: si pulisce d’ogni
cenere di tanto in tanto: e voglio dire che nel nostro gioco
la cenere in me si fa più nera più nera.
Oh io dovrei reggere questo gioco – oh io – dovrei incrociarti
lasciandomi la nausea e i deliri: fingendomi ancora.
Oh io in questo manicomio a brandelli mi ritrovo incendiato
nelle tue mani.
Forse io suicida affumicato ho cercato troppe volte l’anello verde
la candela dallo stoppino bruciato i fiori spezzati
che volavano intrecciandosi col tuo universo: tua voglia matta
di parlare dell’universo illustrazione del destino semovente.
Ma nel mio continuo ribadire illuso
forse era destino che dormissi e mi svegliassi in altro luogo.
Forse tu eri davvero un cielo:
nel tuo volto vedevo le rondini.
***
La luna certo
l’hanno mangiata i cani.
Sbuffa la bufera e le stradine di campagna
non destano più in me alcun senso di nostalgia.
Non la si vede più da tempo ormai:
nelle orecchie c’è il rumore tombale dei campanili,
pianti settembrini che si smorzano e rimbalzano
nel mio palmo dove c’è la mano rugosa di mio nonno che
m’accompagna lontano e poi vicino e
non appena strizzo gli occhi vedo
il gesto osceno del vagar solitario,
il suicidio sudicio. E dietro la tomba non v’è
né donna né amico; tra le campagne girerà una voce
che dirà: “quello fu il peggiore fra i poeti:
lesto di lingua e dal sonno facile”.
Ma io, da solo, aspetterò soltanto che torni la primavera,
il cuore va cercando pace: voi voi voi e quel dio che lodate!
Prima o poi capirete che è un cane, un asino, una mucca…
Ah! ma io non sono che un furfante inutile e stupido,
vent’anni che mi sfoglio città e palazzi, i miei occhi
si coprono di vomito. Girasole ubriaco.
Sbuffa la bufera e l’infanzia
non desta più in me alcun senso di nostalgia.
Non la si vede più da tempo ormai:
sul campo vuoto e deserto della mia memoria
un sol cretino è rimasto in piedi appisolato,
da qui non c’è nessuno,
né una ragazza né un amico.
E le campane e la pioggia fischiano per me
una morte masochista –
c’è chi lo chiama amore:
romperò il sonno eterno per parlar di lei!

Andrea Ferraiuolo, nato a Napoli nel 2000, ha vissuto a Terni, poi a Ravenna, dove ha concluso il Liceo artistico. Vive e studia a Roma dal 2019. Laureato in Triennale all’Accademia di Belle Arti in Teorie e tecniche dell’audiovisivo, attualmente frequenta la LM in Storia dell’Arte presso Roma Tre.
Diana Daniela Gallese (Didì), illustratrice editoriale e artista poliedrica, è diplomata in grafica e illustrazione presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Amante del potere esoterico del nero, delle tenebre, e delle storie orrorifiche, esordisce in editoria con l’albo illustrato La Leggenda di Sleepy Hollow (Officina Milena, 2019). Le sue illustrazioni accompagnano testi editi da Officina Milena, ABEditore, Pidgin, Empireo Editora; collabora inoltre con riviste editoriali nazionali e internazionali tra cui Tit’s n’ Tales, 9righe, IMON, La Nuova Carne, Bomarscé. Conduce una ricerca sulle emozioni studiando Arte per la Terapia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Il suo linguaggio fluisce e si lega a quello di musicisti, scrittori e artisti; la fascinazione per il legame suono/segno e la relativa ricerca emergono nel volume illustrato Nemusico, L’Incanto essenziale di Alberto Nemo (Arcana Edizioni, 2021), dunque continua e sfocia nel progetto Klang-Farbe, duo musical-pittorico con il Maestro Roberto Bisegna. Collabora con la Casa delle Donne di Avezzano (AQ) ed è parte del collettivo di artisti CRUSH di Roma, per cui realizza eventi e laboratori artistico-creativi.
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