{dis}impegno letterario #1
a cura di Simone Sciamè
In Italia non si legge, si scrive e basta. I libri che si vendono di più sono l’uno la copia dell’altro. Si compra solo online, nessuno mette più piede in libreria. L’editoria è in mano a un circolo elitario di personaggi che detengono il potere di decidere chi merita di pubblicare, di essere valorizzato, e chi non ne è all’altezza. I buoni libri li fanno i buoni editori. La piccola e media editoria non esistono. Ormai pubblichi solo se hai i follower. Per interessare gli editori bisogna scrivere un libro sui temi caldi di quest’epoca. Scrivere è una fatica.
Queste sono alcune delle frasi che circolano nella cosiddetta bolla letteraria. Sono tante le narrazioni che si intrecciano, quando si parla di letteratura, di editoria, di scrittura. Ognuno cerca di suonare la propria campana, qualsiasi sia il suo ruolo all’interno del settore. Esiste infatti l’idea che ci siamo fatti dell’editoria e poi c’è l’editoria per quello che è in realtà. {dis}impegno letterario nasce dall’esigenza di sondare terreni poco battuti di questo mondo, di avere un approccio liquido ai temi della letteratura contemporanea, in un clima di ascolto e di osservazione, accennando provocazioni solo per scuotere il campo e vedere cosa c’è sotto. Criticare, ma non distruggere. Un lavoro di ricerca dal basso, di analisi e autocritica del nostro settore, specie dove la letteratura diventa un pretesto per analizzare la sintomatologia della realtà che abitiamo, che respiriamo e all’interno della quale operiamo.
Questo è {dis}impegno letterario, rubrica in cui, una volta al mese, apriamo un dialogo con chi l’editoria la fa.
Il primo appuntamento è con Giovanni Turi, fondatore e direttore di TerraRossa Edizioni.

Giovanni, sei un editore indipendente che si occupa in autonomia di selezione degli inediti, editing, spedizioni, coordinazione del lavoro dei tuoi collaboratori. Sono tante responsabilità, un certo carico di lavoro. Come stai? Riesci a non andare in burnout?
Vorrei rispondere “bene, certo che ci riesco”, ma prima di dedicarmi all’editoria avevo dei capelli ricci e folti, ora un rado prato inglese: è facile trarre delle conclusioni differenti. A ogni modo, l’ideale di letteratura che mi orienta e l’evidenza che sia sempre più minoritario mi sostengono in questa abnegazione alla causa.
Come ci riesci?
Solitamente ci riesco non ponendomi mai questa domanda. Sentiti dunque responsabile… Scherzi a parte, è un lavoro che mi appassiona davvero e credo sia vero l’inverso della massima di Confucio: “fai il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno della tua vita”. Chiaramente bisogna esser pronti a dei sacrifici ma, se si riesce a essere coerenti e coraggiosi, qualche risultato prima o poi arriva.
Ti descrivono come una persona timida, paziente, calma, elegante, educata. Hai anche dei difetti?
Mi piacerebbe conoscerla una persona così, anche se immagino sia semplicemente molto brava a celarli, i propri difetti. (E non sarà certo un’intervista a estorcerglieli…)
TerraRossa sta dando grandi soddisfazioni. Il romanzo di Michele Ruol, ad esempio, ha riscosso molto successo in termini di pubblico e critica. Vincitore del Premio Giuseppe Berto, del Premio Megamark, è stato citato più volte al Campiello e in tanti altri contesti letterari. In un mercato editoriale in cui la stima delle pubblicazioni del 2023 superano gli 85mila libri (Associazione Italiana Editori), si ha la sensazione che le nuove uscite possano cadere velocemente nel dimenticatoio, complice un social cannibale e una sovrabbondanza di titoli. Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia invece è un libro che vive ancora a distanza di quasi un anno. Merito anche di Michele Ruol, che ha scritto un grande romanzo e che sta ottenendo i giusti riconoscimenti, ma sappiamo che la sola grande penna non basta. Da editor ed editore, come hai lavorato a quest’opera?
Aggiungo che è stato anche il libro del mese di maggio di Fahrenheit su Radio3 RAI ed era nella terna finalista del Premio Mastercard sezione esordienti. E sì, è davvero un gran bel romanzo ma ha usufruito anche della credibilità che la casa editrice si è guadagnata negli anni; oltretutto TerraRossa pubblica deliberatamente solo cinque titoli all’anno e questo permette di proporli e dargli visibilità per diversi mesi. Da editor è stato molto facile lavorarci: il testo era arrivato già molto maturo, grazie anche al lavoro svolto dall’autore con Silvia Sirolini dello studio editoriale Crudo. Da editore ho poi colto subito il potenziale dell’opera, dotata di una struttura dirompente e originale, di una storia forte e di una scrittura densa ed essenziale, capace di affrontare il dolore senza mai diventare patetica; per cui ne avevo iniziato a parlare in giro parecchi mesi prima dell’uscita e questo ha contribuito a creare una certa aspettativa.

Con un po’ di ritardo, sto recuperando Felicità di Will Ferguson, una satira potente e spassosa che racconta, tra le altre cose, alcune storture del mercato editoriale. Ti è mai capitato tra le mani un libro come Quello che ho imparato sulla montagna, un testo inadatto al tuo catalogo ma di grande potenziale di vendita?
Sì, molte volte, ma il discrimine del catalogo di TerraRossa non è la vendibilità di un’opera, ma il suo valore letterario, la sua eccentricità, la consapevolezza stilistica dell’autore, per cui non ho mai avuto rimpianti in merito. Al più mi rammarica non essere sempre riuscito a far ottenere a un testo i riscontri che ritenevo meritasse (e faccio mio il motto di Cesare De Michelis in Editori vicini e lontani: “È meglio vendere i libri che si fanno, che fare libri che si vendono”).
Ne Il tempo del silenzio e del frastuono (nel blog Vita da editor), a un certo punto si legge: “ho iniziato spesso a interrompere la lettura dopo 50-60 pagine, perché di frequente non trovo nulla di nuovo né nella forma né nella storia, soprattutto in quelle (rare) opere che superano il migliaio di lettori, quasi sempre pubblicate dagli editori più grandi”. Capita di trovare un libro all’apparenza interessante (per l’appeal commerciale dell’autore o per come ci è stata venduta la trama o, perché no, per la fiducia nei confronti del gusto dell’editore), che però si riveli deludente. A sentire lettori e addetti ai lavori, accade sempre più spesso. Ti sembra che sia vera la tendenza a prediligere l’aspetto commerciale rispetto a quello stilistico e letterario? Per dirla in modo sporco, si è abbassato il livello?
Mi sembra evidente che sia così e lo riprova anche il fatto che molti dei testi che pubblica TerraRossa sino a 10-15 anni fa avrebbero trovato accoglienza nel catalogo di editori ben più grandi e prestigiosi.
Mi sono formato come editor seguendo le lezioni di una grande professionista, Claudia Tarolo, che ricordo con grande stima e profondo rispetto. Durante una sessione di editing aveva chiesto a noi studenti se fossimo convinti di mandare in stampa il testo che avevamo davanti. Io, come altri, risposi di sì, e ne ero abbastanza convinto. Ma poi aveva chiesto, alzando un sopracciglio, come per invitarci a ritrattare: “siete sicuri?”. In quel momento mi sentii piccolo e incompetente. Quale errore non dovrebbe mai commettere un editor?
Sono tantissimi gli errori da non commettere, il più banale e pericoloso è quello di sostituirsi all’autore, di trasformare i propri suggerimenti in imposizioni, ma altrettanto importante e ancor più difficile è provare a comprendere la psicologia di chi scrive, le eventuali ferite lungo le quali è tracciata la sua scrittura e averne rispetto.
Sono partito come autore, e lo sono ancora, ma quando ho iniziato l’avventura da editor ho trovato interessanti alcune letture. Quali sono per te i libri che ogni editor dovrebbe leggere e perché?
Qui potrei partire con una sfilza infinita di opere classiche e contemporanee, ma sarebbe inutile e inopportuno, e allora mi limito a suggerire la lettura di tutto ciò che ha scritto William Faulkner e anche di una biografia: Max Perkins. L’editor dei geni di Andrew Scott Berg. Perkins, oltre a essere stato l’editor di Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Thomas Wolfe, è riuscito a diventare loro amico e credo che questa sia una delle poche professioni in cui varcare questa soglia sia tutt’altro che deleterio.
Oltre a parlare di letteratura, scrittura e di editing, questa rubrica vorrebbe accennare della sana autocritica partendo dall’opinione di chi vive l’editoria in prima persona. Ti chiederei dunque un pregio e un difetto dell’editoria contemporanea (ma se ne trovi un paio, di difetti, non ci tiriamo indietro).
Un pregio è la solidarietà tra coloro che perseguono un’idea affine di letteratura e la capacità di manifestare reciprocamente la propria stima; i difetti sono troppi ma il più grave è forse quello di sottovalutare le capacità critiche e di comprensione dei lettori, disabituandoli sempre più alla complessità e alla ricchezza che questa comporta.
Sono convinto che il nostro lavoro, che sia visto dagli occhi dei lettori o degli addetti ai lavori, sia avvolto da un velo di idealizzazione. Per alcuni idealisti, i libri, scrivere, fare un buon lavoro nell’editoria è un valore aggiunto, una missione, un nobile punto d’arrivo. Altri hanno trasformato la disillusione in cinismo. Per dirla all’italiana: è tutto un magna magna. Per questo vorrei cercare di mostrare l’editoria per quello che è. Concludiamo la chiacchierata con questa domanda: raccontami un bel ricordo legato al tuo lavoro e uno spiacevole.
I ricordi belli sono tantissimi: ogni qualvolta ho scorto in un esordiente del talento inconfutabile, ad esempio, o l’annuncio della dozzina del Premio Strega del 2021 che includeva La casa delle madri di Daniele Petruccioli, o i recenti traguardi di Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol, ma anche soltanto quando una persona che stimo particolarmente ha espresso il suo apprezzamento per un titolo di TerraRossa, o l’incontro con i lettori entusiasti alle fiere di settore. Diversi sono anche i ricordi spiacevoli, ma li ho rimossi – per evitare il burnout.
È meglio vendere i libri che si fanno, che fare libri che si vendono – Dialogo con Giovanni Turi è il primo appuntamento di {dis}impegno letterario, una rubrica a cura di Simone Sciamè.

Giovanni Turi (1983) è fondatore e direttore di TerraRossa Edizioni e lavora in ambito editoriale dal 2005. Ha curato la collana di narrativa “Nuovelettere” della Stilo Editrice, creato il blog Vita da editor e pubblicato contributi su «Nazione Indiana» e «Sul Romanzo» oltre che nei periodici «Incroci – semestrale di letteratura e altre scritture», «La Rassegna della Letteratura italiana», «Stilos». Ha tenuto lezioni su scrittura ed editoria in corsi di formazione editoriale, presso istituti secondari di secondo grado e all’Università degli Studi di Firenze. Ha fatto parte della giuria pugliese del Premio Letterario La Giara indetto da RAI ERI.
Simone Sciamè è nato ad Alessandria il 4 settembre 1993. Diplomato con indirizzo Dirigente di Comunità, ha collaborato a un progetto nell’ambito dello storytelling, media education e tecniche di comunicazione giornalistica presso il liceo psico-pedagogico della sua città. Ha curato una rubrica di recensioni di libri presso la testata radio-giornalistica Radio Gold. Ha pubblicato Erotica liquida (Edizioni Effetto, 2023) con Federico Riccardo. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su riviste letterarie come «Poetarum Silva», «Grande Kalma», «Gelo», «Topsy Kretts», per la quale è editor e scout.
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