sensibili al contesto

Quattro prose brevi di Bianca Oradini

le vite (è probabile) ci separeranno – non tornerò a casa trovandoti ancora a letto a pensare alle nostre zine abortite. sopravvive l’utilità del silenzio e un certo chosisme che mi schioda dalle nostre responsabilità (autoriali) che sono poi alibi per ammiccarti in posti bui fra cose che hanno una fine (se la fine è cosa da chiedersi all’alba). immaginare contesti di recupero indipendenti da me che lo merito e, se non lo merito, immaginarli lo stesso. immaginare il disambiguamento come un lavoro senza sosta di cui rendersi partecipi in queste pagine bianche constatarmi morta (come autrice) e comportarmi da disponibile.

se qualche anno fa avevo inventato tre parole magiche era perché funzionavano. ora so che affidarsi alla fonetica articolatoria per l’attivazione di processi psichici ha dei pro ha dei contro;

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se io fonovivo le mie passioni distrutte mi resta la distruzione della convenzione-linguaggio il sequestro dell’impianto uno sterminato senso d’amore. (ci siamo noi) tra un caffè e uno sgombero sospesi a una parete di ferro che ci divide dalle arie che ti dai quando realizzi che noi coi nostri pigiamini coordinati possiamo sognare tutto questo (daccapo) (e altrove) finché fonosbatto i miei piedini da strega al primo quarto di Luna. l’incantesimo è qui è il tuo daltonismo che macchia i miei occhi di verde le mie emorragie cicliche il succubus sacerdotale. tra la rugiada e la ruggine. tra il cemento e la polvere. tra l’occupare e l’essere troppo occupati. (è qui) il sogno breve dei discorsi sopra la viscosità del tuo sangue in questo paesaggio essenziale ancora da esprimere

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sensazione intrusiva al naso : tu te ne stai nel buio che tintinna dei pezzi che ci faccio nel bagno la catacresi della cosa da cui bevi quando finiscono i bicchieri, come sai, è rotta. si è rotta nel senso che il romanticismo è il fenomeno borghese con cui la società proietta gli occhi nel mio letto. si è rotta (la rivoluzione), «adesso che tu mi arrivi postuma e precaria», in questa impressione di adattamento se quando penso al sesso essenzialmente è meccanica (proprio come per quei quanti) che anche le soluzioni antiborghesi che si prospettano mi fanno prendere male. si è rotta intorno alle mie calze e tintinna mentre la pars sociale razionalizza il piacere che provo quando mi dai / l’intimità è un cliché di chi scrive che aumenta la sensazione intrusiva al naso

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nel dedalo direzionale il moto di chi si stiracchia non di rado inciampa in una mosca (spinte, urti, collisioni) : disegno col dito per aria nuove linee di destino (spostate dalla routine letto-cesso-frigo), molteplici traiettorie ci specchiano in un crampo scomposto : minimi attriti rallentano la caduta dei gravi

Una passante, Letizia Carattini.
In copertina, A ed E, 2020.

Bianca Oradini è nata a Cremona nel 1997, dove tuttora vive. Dopo aver conseguito la Laurea Triennale in Lettere Moderne presso l’ateneo di Pavia, ha scelto di frequentare il corso di Laurea Magistrale in Filologia Moderna a Firenze. Ha collaborato con alcune prose brevi alla rubrica Passaggi curata dalla rivista «Argo».


Letizia Carattini, nata a Santiago del Cile nel 1993, ha vissuto per vent’anni in Svizzera. Trasferitasi a Milano, ha frequentato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Dall’inizio del suo percorso di maturità umana e artistica approfondisce il tema della figura, rielaborata in modo da enfatizzarne l’aspetto percettivo. La sua ricerca è volta a rappresentare la memoria umana collettiva attingendo con particolare attenzione a fonti letterarie. Tramite una trama pittorica soffusa, dalle sue opere emerge la percezione delicata dello spazio vuoto, specchio sottile del rapporto dell’uomo con l’infinità dell’Universo. I suoi ritratti sfumati fanno parte del ciclo Una passante: nonostante il singolare, i protagonisti sono due, l’osservatore e l’osservato (non sempre consapevole), in un rapporto di reciprocità costante all’interno di un gioco delle parti.


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