Elena Micheletti – A casa mia non si muore mai

Ti dico che voglio somigliare agli uccelli
perché sanno sempre
dove andare a parare.
Invece mi tengo stretta alla terra
come fanno i vermi.
Qui, la paura, ha gli occhi della lince
e la voce di mia madre
(quando mi indovina la disgrazia, la macchia nei polmoni,
lo schianto perfetto).
In questa vita a pezzi e bocconi non ho che un dito
dietro il quale non mi so nascondere.
Vedi,
a casa mia non si muore mai.
Si prega a mani giunte nelle cabine degli aerei,
si teme il peggio

ma non si muore mai.

***

E di colpo ti fai cosa che non dura,
abbassi lo sguardo,
simuli la resa dei cani.
Come si ribaltano i ruoli adesso?
Chi aspetta chi?
In questo autunno che ti spiego a gesti,
nel rovescio di un rimprovero.

Guarda:
ti supero di un palmo.
E tolta questa carta da parati,
tolti i pronomi che usi per non dire le colpe,
rimane la tenerezza
dei nostri codici fiscali mandati a memoria
(come una preghiera).

Il freddo, in Via Torresi,
torna per l’ultima volta.

Anche un padre prima o poi finisce.

***

Il giorno in cui ti ha fatto cucù
l’asfalto della Direttissima
e sei rimasto a bocca aperta come un fiore
sulla carreggiata.
Quel giorno qualcuno ti dava del manichino
smidollato mentre io
(bambina come sono)
mi chiedevo che razza di mercato al ribasso è
la morte:
Questo capare di organi buoni

questo distribuirli a destra e a manca.

***

Certo che la luna
è la stessa di sempre,
un rimasuglio d’unghia,
una patata arrosto,
la nostra caramella succhiata ai lati.
Sei tu che sei cambiato.
Adesso che non hai più gambe
per guardare e parole
per dire le metafore.
Non ti riconosco nemmeno
così accartocciato come una lattina.
Hai lasciato la tua vita qui in giardino
e come ogni notte, a modo tuo

ti sei lavato i denti.

***

La mattina in cui hai smesso di funzionare
i tuoi occhi hanno compiuto l’ultimo moto di rotazione.
Ti sei fatto piccolo piccolo
per rientrare in un Padre Nostro,
non hai fornito spiegazioni.

A nulla è servito scuoterti
come un telecomando.

***

Hai mimato tre volte il verso
dell’agnello sgozzato
prima di cadere in terra come un’elemosina.
Tutti a mostrarmi come si sparisce dalla circolazione:
per bene o per nulla
e nessuno che mi spiega che pasqua
è questa
se niente mi resuscita in testa
neanche per finta.

***

Quali piccole cose?
Ho messo a soqquadro gli argini,
ho raccolto fiori modesti,
ho contemplato il sole andare e venire,
l’amore solo di sbiffo.
Nelle piccole cose non c’è niente.
La gioia è un’ode bugiarda
pensata per il pianoforte.

***

Ho sciupato tutta la fantasia
ad immaginarti steso
vestito bene
con le braccia incrociate sul petto
e gli occhi viola amaranto.
Ma tu
muori solo per finta e mi sorprendi
sempre in piedi,
dritto come una forchetta,
vigile urbano di tante infanzie.
Anche laggiù
al parco dei divertimenti,
mentre il mondo ti dava per spacciato:
avevi mani grandi e salde alla sicura
di un ottovolante.


© Daniele Zappalà, Irene

Elena Micheletti, nasce ad Ancona, il 9 ottobre 1987. Dopo aver conseguito gli studi in Lettere Moderne presso l’Università di Bologna, inizia a lavorare come docente di scuola secondaria e si dedica maggiormente alla poesia. Nel 2020 pubblica la sua prima raccolta poetica intitolata Coazione a ripetere (Nulla Die). Attualmente è impegnata in un progetto performativo che unisce la poesia alla produzione di musica elettronica , intitolato Cassandra.


Daniele Zappalà (Ancona, 1985), fotografo freelance. Dopo gli studi economici, mosso da una vera passione, si concentra sulla fotografia, studiando fotogiornalismo presso l’IEFC (Ins tut d’estudis fotogràfics de Catalunya). Non vede la fotografia come un modo per raccontare una storia, ma come un modo per entrare in profondità nella società e connettersi con essa. Lavora come fotografo sociale ed è presidente dell’associazione Cantina Fotografica, gestita insieme ad altri ragazzi.


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